Relazione Montella:  Baiano/Accettura

 

I numerosi lavori sinora prodotti ed i non pochi convegni sinora svoltisi sulla tradizione del «maio» che il 25 dicembre di ogni anno si rinnova a Baiano in onore di Santo Stefano Protomartire, se da un lato hanno ampiamente descritto il fenomeno facendolo conoscere anche fuori dai confini della plaga baianese, dall'altro non hanno contribuito molto a chiarirne la genesi nonostante alcuni ben definiti elementi che - a partire dalla denominazione - tuttora caratterizzano la manifestazione e che sono riscontrabili in particolare nelle modalità attraverso le quali la tradizione tuttora si esplica: il taglio in un bosco non lontano dal centro abitato di un albero di castagno selvatico di notevoli dimensioni, l'eliminazione dei suoi rami ad eccezione di quelli apicali, il suo trasporto festoso attraverso le strade del paese col concorso di gran parte della popolazione la sua erezione in posizione verticale in uno spazio sgombro nel quale confluisce e si ammassa la folla.

Come sin dal 1927 sostenne con un breve articolo Ermanno Mang, tutti i suindicati elementi inseriscono infatti il «maio» di Baiano in maniera lapalissiana e al di là di qualsiasi ragionevole dubbio nel contesto della tradizione dell'«albero di maggio», presente almeno dal XIII secolo in diversi Paesi europei (in particolare in Inghilterra, in Francia ed in Germania) ma con stratificazioni remote che, secondo l'antropologo Domenico Scafoglio, «molto verosimilmente possono essere fatte risalire ai miti e ai riti agrari delle più antiche popolazioni contadine» e che il Frazer alla fine dell'Ottocento ha così descritto: 

“A primavera e al principio dell'estate, o anche a ferragosto, era ed è ancora usanza in molte parti d'Europa di andare nel bosco, tagliare un albero e portarlo al villaggio, dove vien piantato in terra tra la gioia generale; oppure il popolo taglia dei rami e li drizza sopra ogni casa.  L'intenzione di questo costume è di portare al villaggio e a ciascuna casa tutte le benedizioni che lo spirito arboreo ha il potere di diffondere intorno.  Di qui, il costume, in molti luoghi, di piantare in terra, davanti a ogni casa, un albero di maggio o di portare l'albero di maggio del villaggio di porta in porta, perché ogni casa riceva la sua parte di fortuna.” 

Dei numerosi esempi che lo studioso successivamente cita, si rileva che in alcuni casi la festa si svolgeva in date particolari primaverili o estive, ma nella stragrande maggioranza dei casi la data era sempre la stessa:  il 1° maggio (cioè il giorno in cui gli antichi Celti celebravano lo sbocciare della vegetazione), ragion per cui l'albero veniva chiamato «albero di maggio», «palo di maggio» o, semplicemente, «maggio» (May-pole in inglese, Maj stíing in svedese, Mai-baum in tedesco).

Nella sua vasta e variegata analisi il Frazer non fa alcun accenno ad eventuali feste del «maggio» in Italia, tuttavia è ampiamente noto che, sin dal Medioevo, esse furono celebrate anche in diverse regioni italiane ed in Toscana presero il nome di “calendimaggio” appunto perché si svolgevano il primo giorno di maggio, detto secondo il calendario romano «calende di maggio».  Proprio in quel giorno, infatti, sì procedeva al taglio di un albero (spesso indicato col termine arcaico «Maio», chiaramente derivato dal nome Maius col quale in latino si designava il mese di maggio) per poi piantarlo nella piazza principale del paese e talora si deponevano i rami dell'albero abbattuto «davanti alle porte o alle finestre delle ragazze come dichiarazione d'amore»

Anche in Italia, quindi, cosi come evidenziato dal Frazer per altre aree europee, nelle feste del «calendimaggio» il ramoscello possedeva lo stesso valore augurale e propiziatorio dell'albero e, in alcuni casi, lo sostituiva del tutto.

Oltre che in Toscana, feste del «maio» sono documentate in età moderna anche in Campania.

In particolare nel XVII secolo a Napoli, nella piazza detta del Majo di Porto, il primo maggio «si piantava un lungo arbore di nave, e sulla cima vi si attaccavano diversi premi ed erano di coloro che a forza di braccia e destrezza vi salivano, e questo gioco anche al nostri tempi ritiene il nome di Majo» e, sempre a Napoli, nella festività del Corpus Domini i sacerdoti della diocesi presentavano all'arcivescovo alcuni alberi ornati con fiori, detti «Majo» («Obedientias reddi solitas in nostra majori ecclesia cum osculo manus, exhibitione candelarum, & praesentatione arborum fioribus ornatarum vulgo Majo respective indie S S. Apostolorum Philippi, & Jacobi, & in die solemnitatis Sanctissimi Corporis Christi»).

Un simile rito si svolgeva anche a Nola (NA) dove il settimo giomo prima delle calende di maggio, cioè il 25 aprile, i sacerdoti della diocesi offrivano solennemente al vescovo «corone intrecciate di rose e di fiori d'arancio» e «mazzetti di rose messi insieme con arte» e a Salerno, dove il 6 maggio, festa di S. Matteo, «obligati ancor sono li Parochi a comparire in chiesa con ramoscelli di fiori, che dopo il Vespro offeriscono all'Arcivescovo» e dove veniva inoltre portato in processione un albero inghirlandato, detto «frascone», che veniva poi offerto alla famiglia de Ruggiero come ringraziamento per la donazione di alcuni terreni utilizzati per la costruzione del duomo.

Nel contesto del folklore nolano va inoltre ricordato che il termine «Mai» viene usato dal Remondini alla metà del XVIII secolo anche in riferimento ai cosiddetti

«gigli» (i maestosi obelischi tuttora allestiti in onore di San Paolino) che egli descrive come «certe sublimi macchine che Mai appellano, composte di ben concertati lavori d'innumerevoli garofani, ed altri fiori» e come «certi Mai o Gigli, come volgarmente son detti e son certe macchine in forma di globi, di piramidi, di navi, o simil altre cose, tutte adorne d'innumerevoli garofani».

Non lontano da Nola, fra XVI e XVII secolo, la festa del «maggio» veniva poi celebrata - esattamente il primo giorno del mese - anche a Quindici (AV) e a Cicciano (NA).

L'inedita Cronistoria di Isidoro Fusco, scritta fra il 1672 e il 1680, asserisce infatti che a Quindici: «Circa del uso della festa di S.(an)to Felippo et S.(an)to Giacomo del mettere lo maio, et sopra d.(ett)o maio il gallo et sosamielli et copeta et altro e stato antiquo» ed aggiunge che nel 1602 e nel 1603 furono pagate delle somme di danaro «a quelli che hanno ballato, et alli sonatori nella festa di SS. (antissi)mi Felippo et Giacomo» e che «in questo anno 1680 si è fatta la festa similmente co il maio si come lo tempo antico». 

Per quanto concerne poi Cicciano, tutti i sopravvissuti inventari, o cabrei, della Commenda Gerosolimitana di S. Pietro, che in età moderna fu l'ente feudatario possessore della «terra Cizanj», affermano che il baiulo 

“deve et è tenuto nel primo giorno di maggio di qualsivoglia anno portare al Comendatore che pro tempore sarà [,] il maggio cioè un arbore grande et affiggerlo seu piantarlo avanti la porta del Palazzo seu castello, dove è solito piantarlo con tutte le sollennità debbite e consuete, conforme lo stile et uso di detta Terra e Castello, e così al presente s'osserva et è stato osservato ab antiquo come di sopra.” 

A questi esempi di feste del «maggio», celebrate nei secoli scorsi, vanno poi aggiunti due riti tuttora praticati in Campania: la tradizione di Piana di Monte Verna (CE) dove nella notte del 30 aprile «i pastori piantano un palo di legno, chiamato "Maio", come ringraziamento per i frutti della terra» e la tradizione del «maio» nella versione «ramo adorno» di Nocera Superiore (SA) dove il primo maggio il sindaco, insieme al suo collega del vicino comune di Roccapiemonte ed al priore della confraternita del Santissimo Rosario, si reca in processione al santuario di Materdomini per offrire in dono alla comunità francescana i «mai», cioè tre alberelli adorni di fiori e foglie.

Per completare il quadro delle feste del «maio» in Campania, va infine ricordato che, per un mero fenomeno imitativo, la tradizione del «maio» di Baiano si è progressivamente estesa nel corso del Novecento anche agli altri cinque paesi dell'area baianese (Avella, Mugnano del Cardinale, Quadrelle, Sirignano e Sperone), dove essa si rinnova, con caratteristiche più o meno diverse, in occasione di determinate festività religiose nei mesi di gennaio, febbraio e novembre.