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Dal periodico mensile “Il Primo Martire” del 1913, di don Andrea Maria Ferrara,

parroco della Chiesa di Santo Stefano dal 1908 al 1928.

 

         Nel giorno di Natale di ogni anno, in Baiano vi è un concorso enorme di forestieri che dai vari paesi circonvicini e lontani vengono ad assistere al gran “falò” che si accende in S. Stefano, quasi come preparazione alla sua festa del 26. Descrivere la baldoria, lo sparo dei mortaretti e delle bombe in aria, i colpi assordanti delle caratteristiche carabine, al grido festoso del popolo, che tanto ama il suo “Specchione”, è impossibile.

         E’ una scena indimenticabile quella del 25 dicembre. Di notte, prima ancora che sorga l’alba, il rullo dei tamburi chiama a raccolta una squadra di forti e valenti “mannesi” (segatori di legname), i quali, seguiti da carri e da un vero esercito di giovani, armati di carabine, si dirigono al bosco comunale, detto Arciano, per segare il più alto e robusto fusto di castagno, che s’intende consacrare al prodigioso santo.

L’albero, che viene chiamato “Maio”, ben presto precipita al suolo sotto i potenti colpi delle scuri ed è caricato sul carro più grande, tirato da buoi, mentre i giovani t’assordano con i formidabili colpi, per avvertire che il maio parte. Seguono altri carri, carichi di legna, di fascine e tutti ne portano sul dorso, per loro devozione, e tutta la valle della Campania ripete l’eco festoso del grido devoto: “O glorioso! Viva S. Stefano nostro!”

         In quel giorno, il Direttore del Santuario, accompagnato da altri sacerdoti, dal popolo festante va incontro al “maio” ed il grido di tutti si confonde in un solo inno di gioia, accompagnato dalle trombe squillanti dei piccoli “Stefanini” e dal concerto civico. Si attraversa il corso fra la commozione di tutti, fra il pianto dei vecchi, che ricordano con rammarico, in cui anch’essi andavano al bosco, sparavano e gridavano l’evviva al santo “Specchione”.

         Si giunge sullo spiazzale del santuario. Il tronco superbo viene benedetto dallo stesso direttore, mentre con funi fra il più profondo silenzio, si eleva lentamente il maio, in un’apposita , profonda buca. Allora l’entusiasmo del popolo non ha limiti. Le campane del santuario suonano a gloria e le carabine sparano gli ultimi formidabili colpi, senza che avvenga il più piccolo incidente. Dopo l’ultima messa e dopo che ognuno ingoia un boccone in tutta fretta, incomincia la interminabile processione di quelli che portano la legna da servire per il gran falò. Ricchi, poveri, signori, plebei; tutti vengono a portare la loro offerta di legna e la pira ben presto è fatta ed il fuoco tutto divora. Il maio resta intatto e si vende, come si vende il fuoco che resta, la cenere, tutto a beneficio del Santo.